amore

Dino Buzzati - Un amore

Un'intervista dello scrittore Dino Buzzati sul rapporto tra i sogni e la sua narrativa

    «Sai che cosa sono io?» gli dice, nell’improvvisa eccitazione di un lieto ricordo, uno dei pochi forse che possiede, quasi pronunciasse una formula magica che la riscatta dalle miserie, solennemente. «Io sono la nuvola. Io sono il fulmine. Io sono l’arcobaleno. Io sono una bambina deliziosa.» È nuda, inginocchiata sul letto, aperta dinanzi a lui, lo fissa con occhi impertinenti. E sporge con quel suo moto caratteristico le piccole labbra sottili, infantile provocazione e sfida. Mentre Antonio la fissa in adorazione, intimidito da tanta sapienza istintiva, lui con tutto il suo ridicolo armamentario letterario nella crapa. (p. 408)
    Ma poi al risveglio, svaniti gli ultimi brandelli del sogno in corso, quel senso di angoscia di condanna. Il pensiero cerca subito intorno: perché? perché? Lei! […] Egli si dice: è assurdo, non vale la pena, non merita, sì, sì, tutti ottimi argomenti. Ma il giorno che rinunciasse, che non insistesse più, che trasformasse l’ansia in dolore cocente, quel giorno che cosa gli resterebbe? Il vuoto, la solitudine, la prospettiva di un futuro sempre più squallido e morto. Dio, aiutami! (p. 505)

Nel 1960, Dino Buzzati si trova prigioniero di una tormentosa relazione. Scrive nel Diario: «L’unica, per salvarmi, è scrivere.» E proprio nello stesso anno esce un suo breve testo teatrale, dal titolo I suggeritori. Si tratta di un’opera di vocazione comica: la scena si apre in un’anticamera «di dubbio gusto», con Laide, «ragazza giovanissima, procace, calcolatrice», che incita il suo mantenuto, Paolo, ad andarsene, prima che arrivi il prossimo cliente: un architetto, innamorato di lei, una lagna, una piaga, ma che almeno, proprio perché è così appiccicaticcio, sgancia come si deve. Sciaguratamente, Paolo si attarda più del dovuto e viene visto da Giovanni – così si chiama l’innamorato – mentre svicola. Segue un duello verbale fra Giovanni, che chiede spiegazioni, e Laide; lei gli dichiara che Paolo è suo fratello e fa la gattina; Giovanni, confuso, non sa più che cosa dire. A questo punto, i suggeritori di teatro si mettono attivamente all’opera per colmare il vuoto. Escono dalle buche e si danno a proporgli risposte: il primo suggeritore le offre dal copione, risposte da uomo virile che tiene alla propria dignità, il secondo da efebo dolciastro, sottomesso e remissivo. Dopo una breve competizione per vincere l’attenzione di Giovanni, il primo suggeritore pianta un pugnale nella schiena del secondo, spinge Giovanni ad agire da uomo e a farla finita con la ragazza e, una volta andatosene il furibondo Giovanni, suggerisce a Laide di dare del «lurido porco» al suo mantenuto, che, per quella serata, l’ha piantata telefonicamente in asso. Al di là dell’aspetto di divertissement, è interessante questo sdoppiamento così plateale della personalità di Giovanni. Giovanni non sa più cosa dire, Giovanni vorrebbe dire certe cose, ma non ne ha il coraggio; alla lunga, figure esterne devono intervenire in suo soccorso e costringerlo a risolvere i suoi problemi (e, si direbbe, lo stesso vale per la ragazza).

    Nel 1963, ritroviamo un personaggio di nome Laide nel romanzo Un amore. La trama è relativamente semplice: nell’anno 1960 l’architetto Antonio Dorigo, uomo intellettuale e di buona famiglia, 49 anni, un genio sul lavoro e con gli amici, ma un incapace con le donne e per questo dedito alle visite alle prostitute, conosce come cliente una ragazza, Laide, ballerina alla Scala. La conosce in un ambiente “protetto”: il salotto della signora Ermelina, mezzana e sensale di ragazze di buona famiglia per la buona società milanese. Immediatamente Antonio collega mentalmente Laide a una ragazza vista dalle parti della Storta, un andito vicino a corso Garibaldi, e alla realtà popolaresca di quella Milano antica nascosta nella Milano moderna. Non solo questo: in tutta la figura di lei trova qualcosa di infantile, di giovane, di nuovo e di fresco, di un altro mondo rispetto al proprio, un senso di novità e un desiderio di avventura. Dunque Antonio resta fin dall’inizio profondamente impressionato da Laide, ma già dal primo incontro è evidente la difficoltà, o meglio l’impossibilità, di discernere il vero e il falso nelle parole di lei, che nega infatti qualunque collegamento con una zona, come quella della Storta, che peggiorerebbe la sua reputazione. E anche negli incontri successivi, incontri sempre fra una prostituta e il suo cliente, le cose non cambiano, se non nel fatto che Dorigo è sempre più legato a lei, ma si rende conto di non avere nulla a che fare con la sua vera vita: è un cliente, un uomo da soddisfare il più in fretta possibile, ma irrilevante nel campo degli affetti, delle amicizie, della famiglia, da cui va anzi tenuto il più distante possibile.

    Antonio è però uno scenografo e, una volta, gli capita di assistere alla Scala alle prove di uno spettacolo cui parteciperà anche Laide. La vede, o crede di vederla: quando ne parlerà con lei, avrà il dubbio di essersi sbagliato. Tutta la loro frequentazione sarà fatta dei tentativi di lui di oltrepassare questo muro di inconoscibilità. Le risposte di lei agli interrogativi di Dorigo sono a volte credibili, altre volte assurde, ma comunque verosimili per Antonio, che ormai brucia tormentato da una relazione da cui dipende come da una droga e che, in realtà, è totalmente sbilanciata fra l’egoistica passione di lui, il desiderio di fare di Laide cosa sua, di entrare nella vita di lei senza che lei abbia accesso alla sua, e la speculazione economica da parte di lei. Infine, Antonio arriverà a proporle una specie di stipendio di relazione, che lei prontamente accetta. Di qui l’umiliazione e la sofferenza di lui divengono sempre più tremende: Laide nasconde sempre più malamente i propri ulteriori ménages, senza che lui riesca a capire se si tratti di semplici affari o di vere relazioni, come quella che lui desidererebbe. Anche un troncamento della relazione sarà impossibile: dopo alcuni mesi di autoimposta lontananza, Antonio si troverà ancora a cercare Laide.

  Ma che cosa era successo nella vita di Buzzati? Nel marzo 1959 era andato in scena alla Scala il Jeu de cartes di Stravinskij, con Buzzati autore del bozzetto e dei costumi. In aprile l’incontro con S. C., la vera Laide, con cui ha inizio una tormentata liaison. Nel 1961, racconta a Paolo Monelli di aver scoperto per la prima volta cosa significhi «l’amore per la donna», con tutte «le gelosie, le lacrime, la passione…».

    Un amore è dunque un romanzo di ispirazione autobiografica, un’opera di confessione e un tentativo di superamento di un’esperienza devastante. È interessante anche che venga pubblicato dopo la morte della madre, avvenuta nel 1961, verso la quale Buzzati provava rimorso per la propria ingratitudine e il proprio egoismo: nel libro l’impossibilità di portare alla luce una relazione del genere è collegata anche alla figura della madre, che chissà cosa direbbe, ed è la madre a preoccuparsi per Antonio quando la sua infelicità si manifesta in inappetenza.

    Stilisticamente si distingue da altre opere buzzatiane per il passaggio da uno stile che rappresenta il fantastico e lo psicologico attraverso la realtà (ad esempio, ne Il deserto dei Tartari) ad uno che, invece, mostra la realtà attraverso lo specchio dei pensieri e dei sentimenti e, in ultima analisi, della frenesia erotica di Antonio. Troviamo allora frasi fratte o agrammaticali, catene di pensieri interrotte, lunghissimi periodi privi di punteggiatura in cui si esprime la situazione di Dorigo attraverso il metodo dello stream of consciousness. Del resto, nel 1960 era uscita la prima traduzione italiana dell’Ulisse di Joyce, con 200.000 copie vendute. Sempre attinente all’ambito stilistico troviamo il contrasto fra il linguaggio di Antonio, un intellettuale, e quello immediato e sgrammaticato di Laide. A quest’ambito si può riportare la presenza di parole che all’epoca dovevano sembrare persino eccessivamente attuali – parcare, maschietta – e che oggi hanno del desueto.

    Per quello che riguarda i temi trattati nel romanzo, essi sono molteplici. Quello che appare per primo, con una potenza esplosiva, è l’amore, vissuto come potenza erotica e legame indissolubile che porta allo strangolamento. Ma non si tratta solo del desiderio: Antonio si trova effettivamente ad amare Laide, a voler essere parte della vita di lei. E una delle parentesi liriche del romanzo spiega la scoperta del vero amore da parte di Antonio, ormai avanti nell’età: in viaggio verso Laide, Dorigo si accorge che, in realtà, tutto quello che muove l’uomo, tutto ciò che è ispiratore di un fremito, contiene «un presentimento di amore» e la speranza di un incontro. Questo ci porta a inserire il tema dell’amore nell’ambito più ampio della ricerca di uno scopo per la vita dell'uomo, tipica dei personaggi di Buzzati; e, come spesso avviene nella sua opera, questo scopo resta, in definitiva, irraggiungibile

    Ma un altro tema, che non è possibile sottovalutare, è l’effetto della differenza di classe in questo tentativo di relazione. Antonio è un borghese, un uomo di buona famiglia; se anche Laide volesse, non la sposerebbe mai. Certo, lo affascina il suo provenire da quell’abisso sconosciuto dove abitano le classi più basse, ma tutto finisce con questo interesse. Non si deve però leggere questo problema nella chiave di un marxismo delle relazioni, ma semplicemente come un dato di fatto vissuto esistenzialmente da Buzzati e, per forza di cose, trama e tessuto su cui si sviluppa l’intreccio dei sentimenti. È la base di questo tragicomico tormento: tragicomico, perché l’innamorato separato dalla sorte dall’oggetto del suo amore è un personaggio tragico, ma un amante che non vuole lui stesso avvicinarvisi è un soggetto comico. Di fatto, le intenzioni di Antonio, se una vera relazione d'amore fosse stata possibile, restano nel dubbio

    La stessa Laide rimane, per Dorigo, un mistero inconoscibile.  Una parte sostanziale del romanzo è dedicata alle scuse più o meno inverosimili di Laide e al dubbio che Antonio non riesce a risolvere: quello che Laide dice è vero o falsoÈ possibile che Laide menta? Antonio si interroga e desidera sapere, ma non osa, a causa della propria paura. Il fascino di Laide dipende inoltre proprio dal suo mistero, ma è questo mistero – in realtà, la riservatezza della prostituta che non vuol fare conoscere la propria vita al cliente – ciò di cui lei si avvale per tenere a distanza Antonio e conservare la propria libertà. 

    Un ultimo tema è il contrasto fra la figura materna – di cui Buzzati dirà «l’unico tipo di amore […] che veramente realizza in modo perenne (cioè senza squilibri) questa partecipazione meravigliosa, che è proprio l’amore del prossimo» – e quella dell’amante-prostituta, riguardo al quale Marilyn Schneider apre un confronto con il complesso freudiano della Madonna-Maddalena.

    Una volta trovata la chiave dell’interpretazione psicologica, vale la pena di riprendere in mano I suggeritori. È evidente che nascono dalla stessa esperienza che diede poi alla luce Un amore, ma la sviluppano in modo differente. Lo sdoppiamento psicologico del povero Giovanni diventa un’immagine del dubbio feroce che attanaglia Antonio in Un amore. Il sogno ad occhi aperti dell’innamorato, porre fine alla propria sofferenza ed umiliazione sganciandosi da Laide, si realizza  attraverso l’azione di forze esterne ed impreviste; a questo si aggiunge l'ulteriore sogno dell'innamorato respinto, cioè che la ragazza insulti il proprio vero amante, il terzo incomodo, colui che, contrariamente ad Antonio, la conosce veramente. Ma proprio una rappresentazione così ironica, così comica, così assurda e al limite del surreale, indica che si tratta solo di una finzione e che Buzzati non avrà il coraggio di fare, nella realtà, ciò che sogna nel teatro.

    Sempre attraverso I suggeritori, vale la pena di osservare i nomi dei personaggi. Quello di Laide (abbreviazione di Adelaide) ricorre in entrambe le opere. Il nome è stato messo in correlazione con la antica prostituta Taide, ma non posso fare a meno di notare la somiglianza con “laida” (dalla 2° edizione del 1623 del Vocabolario degli accademici della Crusca: «LAIDO: Sozzo, deforme, brutto, sporco, non solamente di bruttura materiale, ma di bruttura, e oscenità di vizj, e di malvagi costumi. Lat. turpis, inhonestus»), specialmente se si considera che del nome esiste anche una variante Adelaida. Antonio Dorigo si chiama invece, ne I suggeritori, Giovanni. Se qualcuno volesse sovrapporre i due personaggi, otterrebbe Giovanni Dorigo: un nome curiosamente simile al Giovanni Drogo de Il deserto dei Tartari. Ad egli Antonio è accomunato dalla figura della madre, da una vita segnata dall’attesa delusa di qualcosa per cui vivere e dalla realizzazione, giunta la tregua, della necessità della morte.

    Il romanzo non è dunque un corpo estraneo nella produzione di Buzzati, anche se contiene parecchi elementi di novità rispetto a quanto l’aveva preceduto. Si tratta, in effetti, di un’opera estremamente raffinata, anche se il lettore può sentirsi scoraggiato, navigando alla ricerca di qualche evento fra gli interminabili pensieri e le allucinate visioni oniriche di Antonio. È la storia di uno scossone: di un uomo «come una pietra legata ad una corda e fatta girare […]. E così follemente girando non si distingueva più che forma aveva, era diventato una specie di anello fluido e palpitante». Sembra perfino di sentire echeggiare i versi di Saffo sull’amore, che si abbatte sull’amante come il vento sulle querce in montagna.

Versione recensita:

DINO BUZZATI, Un amore, in: Opere scelte, a cura di Giulio Carnazzi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998

Prima edizione:

D. BUZZATI, Un amore, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963

Valutazione:

Opera indubbiamente buzzatiana anche se di argomento insolito, chiave per la lettura di un’esperienza traumatica vista attraverso gli occhi di Buzzati. Libro raffinatissimo ma difficile, non per tutti. Fondamentale per chi vuole conoscere davvero l’Autore.

Bibliografia aggiuntiva:

LUCIANO PARISI, Sulle innovazioni stilistiche del romanzo Un amore, in «Studi buzzatiani», vol. 9, 2004, 47-55 -- ‘Errata Corrige’ in Studi buzzatiani, vol. 10 (2005), 195-97

GIOVANNA MICELI-JEFFRIES, Per una poetica della senilità: la funzione della donna in Senilità e Un amore, in «Italica», Vol. 67, No. 3 (Autumn, 1990), pp. 353-370

MARILYN SCHNEIDER, Beyond the Eroticism of Dino Buzzati's Un amore, in «Italica», Vol. 46, No. 3 (Autumn, 1969), pp. 292-299

Sono state fondamentali per l’approfondimento l’introduzione di Giulio Carnazzi e la cronologia all’interno del volume dei Meridiani Mondadori Opere scelte, su cui si basa questa recensione e in cui è contenuto anche I suggeritori.

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