Costruire una città invisibile: Zenobia

di judith weingarten

Rimsky-Korsakov, La leggenda dell'invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija al Teatro lirico di Cagliari

La città invisibile Zenobia di Italo Calvino è una delle immagini surrealiste più suggestive del tardo novecento. Ora, l'invisibile è divenuto possibile. Si tratta di un progetto dal vero, addirittura (forse) di una proposta pratica. Se mai venisse costruita, Zenobia sarebbe un "deciframento", e una città come nessun'altra.

Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benchè posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru. Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello. Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non e in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.

Progettata dagli architetti italiani Alessandro Tonni e Manuela Spera, la città ispirata da Calvino deve creare un punto d'incontro fra architettura e letteratura. Penso che Calvino ne sarebbe stato entusiasta.

Le città invisibili

In un giardino seggono il vecchio Kublai Kan e il giovane Marco Polo -- l'imperatore tartaro e il vaggiatore veneziano. Siamo al tramonto. Kublai Kan ha avvertito la fine del suo impero, delle sue città, di se stesso.

Marco Polo distrae l'imperatore con storie delle città che ha visto nell'impero e Kublai Kan ascolta, cerca uno schema nelle città di Marco Polo. Qui si trovano tutte le città mai sognate, strane città magiche invisibili, che nessun altro vide mai. Tutte hanno nomi di donna -- Raissa, Irene, Fillide, Olinda, Armilla, Cloe, Valdrada...

Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive d’un lago con case tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell’acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s’elevano sopra il lago ma anche l’interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.

Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti sono insieme quell’atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all’oblio. Anche quando gli amanti danno volta ai corpi nudi pelle contro pelle cercando come mettersi per prendere l’uno dall’altro più piacere, anche quando gli assassini spingono il coltello nelle vene nere del collo e più sangue grumoso trabocca più affondano la lama che scivola tra i tendini, non è tanto il loro accoppiarsi o trucidarsi che importa quanto l’accoppiarsi o trucidarsi delle loro immagini limpide e fredde nello specchio.
Lo specchio ora accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano.

E Zobeide...

Di la’, dopo sei giorni e sette notti, l’uomo arriva a Zobeide città bianca, ben esposta alla luna, con vie che girano su sé stesse come in un gomitolo. Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarno d’inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono tra loro; decisero di costruire una città come nel sogno. Nella disposizione delle strade ognuno rifece il percorso del suo inseguimento; nel punto in cui aveva perso le tracce della fuggitiva ordinò diversamente che nel sogno gli spazi e le mura in modo che non gli potesse più scappare.

L'imperatore presto determina che ognuno di questi luoghi fantastici è in realtà lo stesso luogo.

Marco Polo concorda. Le immagini della memoria, una volta poste in parole, vengono cancellate.

Ma il viaggiatore ancora non può fermarsi:

...deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.
”Viaggi per rivivere il tuo passato?” era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: “Viaggi per ritrovare il tuo futuro?”
E la risposta di Marco: “L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.”

Il dialogo continua (le città e la memoria, le città e il desiderio, le città e i segni), eppure, come ci dice Calvino, essi rimangono la gran parte del tempo "silenziosi e immobili".

Infine, Kubilai Kan riconosce che tutte le città tendono verso i cerchi concentrici dell'inferno di Dante.

Dice: - Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: - L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e dargli spazio, e farlo durare.

Ovviamente, Zenobia non verrà mai costruita.

Il che si adatterebbe perfettamente a Calvino. Come disse di sé,

"Il posto ideale per vivere è quello dove è più naturale vivere come stranieri."

Questo articolo è la traduzione di un pezzo pubblicato originariamene da Judith Weingarten sul blog Zenobia: Empress of the East (indirizzo: http://judithweingarten.blogspot.it/2010/08/building-invisible-city.html ) e distribuito secondo licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported. Il testo italiano de Le città invisibili, dove non rappresentato attraverso Google Books, è tratto da:

ITALO CALVINO, Romanzi e racconti. Volume II. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2004

note dell'autore (judith weingarten)

Mi è stata molto utile la brillante recensione dei romanzi di Calvino fatta da Gore Vidal (New York Review of Books)

Siti calviniani di una certa rilevanza presso: Emory University, Swarthmore College e Outside the Town of Malbork.

Illustrazioni da Reinterpreting Italo Calvino's Zenobia presso Evolo us News 31 luglio 2010. Gli architetti possono essere trovati su Architizer.