recensione

L'adolescente di Dostoevskij

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L’adolescente prende il proprio titolo dal personaggio principale, il narratore diciannovenne Arkadij Makàrovič Dolgorukij. Arkadij ha appena terminato il ginnasio a Mosca e raggiunge la propria famiglia e il proprio padre, che abitano a San Pietroburgo. C’è però un problema: suo padre di cognome non fa Dolgorukij, ma Versilov. Arkadij è nato da una sua liaison con la giovane serva della gleba Sofia, moglie del servo della gleba Makàr Dolgorukij. Versilov, uomo a modo proprio, invece di lasciare la questione com’era, ha compensato Makàr, che si dà a fare il pellegrino itinerante, e preso con sé Sofia. Non solo: ad Arkadij ha dato un’istruzione non comune, mandandolo prima alla scuola di un maestro francese presso cui studiano anche “i figli dei senatori”, e poi al ginnasio.

Arkadij chiaramente ama Versilov. Contro il proprio migliore interesse, al ginnasio si è presentato come figlio di Versilov, il che ha provocato ovvie domande sulla sua ascendenza. Versilov, tuttavia, è veramente a modo proprio, nel bene come nel male. Sopravvive bruciando un’eredità dopo l’altra. In viaggio all’estero, si dimentica Sofia a Königsberg. Come un pendolo, sembra incerto fra gli ideali più elevati e il denaro, fra il progressismo e la nobiltà cui appartiene. Rifiuta un duello e la buona società finisce per escluderlo.

È chiaro che Versilov coprirà un ruolo particolare nel libro. Versilov è tanto protagonista quanto Arkadij. Ma già il fatto che nelle memorie di Arkadij egli sia universalmente chiamato Versilov è insultante: nei romanzi russi, per esprimere riguardo, si chiamano le persone per nome e patronimico; chiamare per cognome è una mancanza di rispetto. L’amore filiale di Arkadij verso Versilov pretenderebbe che Versilov fosse un modello per lui. Ma Versilov, sensuale cacciatore di eredità estromesso dall’aristocrazia, non può corrispondere alle aspettative di Arkadij e diventa invece bersaglio del suo disprezzo. Suo malgrado, però, Arkadij non può smettere di essere attratto dal Versilov elegante, colto, bello e idealista. E Versilov, su un livello più profondo, continua a essere il metro per cui Arkadij definisce sé stesso: perché, altrimenti, chiamarlo padre, quando il popolano Makàr sarebbe un uomo rispettabilissimo?

In più, Arkadij stesso non sa ancora a quali valori tenere. Finché è stato a scuola, a Mosca, la sua vita si è mossa come su un binario. Eppure, quando arriva a San Pietroburgo, Arkadij ha già dovuto subire diverse umiliazioni. Il maestro francese, per separarlo dai bambini bene (legittimi), lo umiliava, picchiava, e usava come servo. Al ginnasio, gli viene fatto notare che essere illegittimo non è motivo d’onore. C’è indubbiamente un desiderio di rivalsa nelle sue decisioni. E così sceglie di non proseguire gli studi e di non andare all’università. Invece, vuole diventare un Rothschild: immensamente ricco. Per la sua nascita è in un mondo di relazioni irregolari, messo a margine, alienato: la ricchezza è il modo in cui intende appropriarsi della libertà, ma anche del rispetto che la buona società gli nega.

Questa autoimposta bramosia materialistica non basta però a fargli perdere la naturale tensione verso la pietà umana, o il rispetto verso l’ideale. L’adolescente è un romanzo con un protagonista in trasformazione e teso fra esempi discordanti. È una storia in cui i dialoghi tratteggiano l’incertezza dell’esplorazione e della scoperta: scoperta di sé, scoperta degli altri, scoperta dell’amore, il doversi mettere in gioco contro modelli diversi, dalla semplice religiosità popolare di Makàr, alla disumana, scostante elevazione di Versilov, fino al ricattatore Lambert e all’ancora peggiore Stebelkov; e uno dei temi importanti del romanzo è come un’anima non toccata dal male possa confrontarsi con esso.

Nell’introduzione e in quarta copertina, Eridano Bazzarelli insiste sulla modernità di questo romanzo, specialmente nella figura di Arkadij. Ha ragione, ed è possibile che, senza Arkadij, non ci sarebbe stato un giovane Holden. Ci sono però anche degli elementi che, casualmente, mettono in contatto il romanzo con la cronaca moderna: la paura di Versilov davanti all’insorgere contro l’identità europea del nazionalismo in Occidente (“…laggiù il francese non era che un francese, e il tedesco non era che un tedesco e questo con la massima tensione che mai vi fosse stata in tutta la loro storia. Di conseguenza, mai un francese aveva tanto danneggiato la Francia e un tedesco la sua Germania, come proprio a quell’epoca! Allora in tutta l’Europa non c’era un solo europeo!”); gli effetti devastanti delle dipendenze dall’alcol e dal gioco; la debolezza della coscienza nell’isolamento e nella marginalizzazione; e l’apprensione per il ruolo educativo del genitore, intaccato da altre ambizioni. Versilov, in effetti, non vuol fare il padre. Ha, per dirla semplicemente, altre cose in mente. Il risultato è che tutti i suoi figli, legittimi o meno, si gettano in situazioni o criminose, o socialmente inaccettabili.

Detto ciò, lo status di illegittimo, determinante per Arkadij, non ha paralleli in un contesto moderno. Arkadij si trova, ad esempio, nella bizzarra situazione di chi elaboratamente cerca di “sedurre” la propria sorellastra, fino a poco prima una sconosciuta, per farsi riconoscere come fratello; ma lei, quando si rende conto di dove vuole arrivare, tronca il discorso. Accetta i complimenti, ma rifiuta di essere sorella dell’illegittimo. Inoltre, a volte oggi un divorzio capita perché un genitore abbandona l’altro per una nuova fiamma, e il figlio si trova in competizione con lei per riavere il genitore. Arkadij, invece, fa l’opposto: si trova in competizione con il proprio padre, perché si innamora della donna di cui anche Versilov è innamorato, Katerina Achmakova (verso Sofia, Versilov sembra versare in uno stato di confusione emotiva peggiorata dal mettere i propri sentimenti al servizio di un principio intellettuale). Il risultato del disastro educativo generato da Versilov isolando Arkadij da tutta la sua famiglia per quasi vent’anni sta anche in questo: ora i due devono interagire senza che un vissuto comune abbia per loro creato, nel tempo, le due sfere distinte di padre e figlio. Il romanzo definisce questa situazione una famiglia accidentale (o casuale nella traduzione BUR), una famiglia in cui i ruoli, a causa delle errate priorità del pater familias, si mescolano e diventano incomprensibili, mentre i figli crescono nel disordine interiore. Proprio Confusione era il titolo cui aveva originariamente pensato Dostoevskij per il suo libro.

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 Si tratta insomma di un romanzo profondo e sfaccettato. Eppure, L’adolescente è probabilmente la meno letta fra le grandi opere di Dostoevskij. Il motivo c’è: è anche la meno coinvolgente. Arkadij non conosce ancora il mondo e questo lo rende estremamente recettivo, ma gli rende anche difficile capire quello che avviene intorno a lui. Per assurdo, questo fa de L’adolescente una delle poche opere non deprimenti scritte da Dostoevskij. I suicidi ci sono, certo, ma è difficile sentirsene coinvolti. Anzi, l’impressione è che, a volte, Arkadij deliberatamente non metta su carta i propri sentimenti. Una volta, Versilov gli dice: “Credevo che il gioco fosse tutto per te!”, sorpreso dal proposito che Arkadij ha di smettere. Dostoevskij sapeva molto bene che cosa significava la dipendenza dal gioco. Ma, se a questa frase di Versilov segue un moto nell’animo di Arkadij, non lo sappiamo. Lo stesso vale per diverse delle stringate conclusioni delle trame che circondano la famiglia Versilov.

Questo costringe Dostoevskij a ricorrere ad artifici diversi dal solito per rendere interessante la narrazione. Generalmente, i suoi romanzi si concentrano su di una passione bruciante, un pensiero fisso, o una dipendenza che spinge i personaggi verso il criminale, il crudele e il disumano, oppure la disperazione e la follia, contrastati dalla pietà dei deboli e della povera gente. Versilov, Olja, o il giovane principe Sokolskij rientrerebbero in questo canone, ma le loro immagini sono sbiadite dall’ingenuità e dalla disinformazione di Arkadij. Ne L’adolescente c’è piuttosto un’insolita concentrazione sulla prefigurazione. Ogni tanto, anche durante la quiete, Arkadij ci informa che un certo fatto avrebbe portato a una crisi. Altri momenti sembrano deliberatamente comici, come un paio di delinquentelli che parlano francese a sproposito, o l’esasperazione di Arkadij quando, ogni volta che pronuncia il cognome Dolgorukij, gli chiedono se sia un principe (un nobile Dolgorukij, letteralmente “Bracciolungo”, era famoso per aver fondato Mosca o le sue mura).

Alla fine, L’adolescente è insieme una confessione e un romanzo di formazione. Arkadij cresce e cambia idea. Cambia idea anche sul senso delle memorie che sta scrivendo: inizialmente, non intendeva che avessero alcun lettore, ma ne troverà uno – che, nel libro stesso, avrà l’ultima parola!

 

Una nota di chiusura. La traduzione del libro è un piccolo mistero. Nell’edizione BUR del 2003, il nome del traduttore non è riportato. In calce a una pagina, si legge invece: “L’Editore si dichiara a disposizione degli aventi diritto per la traduzione”. Il sito de La Feltrinelli la attribuisce a Rinaldo Küfferle, quelli di Amazon e Vita e Pensiero, probabilmente sbagliando, a Bazzarelli stesso. Bazzarelli era infatti sì traduttore di Dostoevskij, ma non risulta che abbia tradotto L’adolescente, ed è comunque morto solo nel 2013, dieci anni dopo la pubblicazione di questo libro, il che renderebbe insensata la dichiarazione di disponibilità dell’editore Rizzoli. Stando a Wikipedia, la traduzione sarebbe proprio di Küfferle, nato in Russia da genitori svizzeri immigrati in Italia dopo la Rivoluzione d’ottobre, già elzevirista del Corriere della Sera, che la pubblicò la prima volta con Sonzogno nel 1935. Avendo però letto la traduzione di Küfferle de “I demoni”, non sembra che le sue scelte lessicali siano compatibili con quelle di questo libro.

Fedor Dostoevskij L'adolescente Introduzione di Eridano Bazzarelli BUR Rizzoli 2003