Un caso di ri‑scrittura scenica. Dino Buzzati dal racconto al dramma - di Katia Trifirò
December 17, 2016
l'autore è indicato nel testo
Katia Trifirò è docente a contratto di “Scrittura scenica” e cultrice di Letteratura italiana contemporanea e Discipline dello spettacolo presso l’Università degli Studi di Messina.
Per leggere il contenuto delle note, fare click sul numero. Cliccando di nuovo sul numero si torna al testo.
Il teatro di Buzzati non è originale […] È una specie di cantiere dove non si ha mai riposo. I personaggi leggermente differenti, o sempre gli stessi, vanno e vengono: escono da un racconto ed entrano in un romanzo, escono da un romanzo e vanno a finire in una poesia o in un disegno e, coscienti del silenzio in cui continuano ad essere rappresentati, affrontano il palcoscenico dove finalmente trovano il gesto e la voce.
(Ioli 1988: 145)
Dopo interminabile attesa quando la speranza già cominciava a morire, Giovanni ritornò alla sua casa. Non erano ancora suonate le due, sua mamma stava sparecchiando, era una giornata grigia di marzo e volavano cornacchie. Egli comparve improvvisamente sulla soglia e la mamma gridò: «Oh benedetto!» correndo ad abbracciarlo. Anche Anna e Pietro, i due fratellini molto più giovani, si misero a gridare di gioia. […] Egli non disse quasi parola, troppa fatica costandogli trattenere il pianto. […] «Lasciati vedere» diceva tra le lacrime la madre, tirandosi un po’ indietro «lascia vedere quanto sei bello. Però sei pallido, sei». Era alquanto pallido infatti e come sfinito. Si tolse il berretto, avanzò in mezzo alla stanza, si sedette. Che stanco, che stanco, perfino a sorridere sembrava facesse fatica.
(Buzzati 2009: 58)
E allora la mamma finalmente capì. […] Capì la storia del mantello, la tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il misterioso individuo che passeggiava su e giù per la strada, in attesa, […] Così misericordioso e paziente da accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la madre; da aspettare parecchi minuti fuori del cancello, in piedi, lui signore del mondo, in mezzo alla polvere, come pezzente affamato.
(Buzzati 2009: 63).
La madre non riusciva a capire: perché se ne stava seduto, quasi triste, come il giorno lontano della partenza? […] Perché dunque se ne stava smorto e distratto, non rideva di più, perché non raccontava le battaglie? E il mantello? Perché se lo teneva stretto addosso, col caldo che faceva in casa? […] Il dolce viso piegato un po’ da una parte lo fissava con ansia, attenta a non contrariarlo, a capire subito tutti i suoi desideri. O era forse ammalato? O semplicemente sfinito dai troppi strapazzi? Perché non parlava, perché non la guardava nemmeno?
(ibid.: 60-61)
La memoria della moralità medievale si esplicita del resto nella trascrizione scenica de Il mantello, in cui tra rimandi pure al Totentanz magico-¬‐ barocco e citazioni dal meraviglioso-¬‐ macabro dell’ultimo futurismo, il palcoscenico si dilata tra crepe sinistre e scricchiolii medianici […] Buzzati pesca a piene mani nei ricchi serbatoi della cultura nordica, nella féerie simbolista di Maeterlink (col corredo puntuale di Intruse e di Intérieur), nei jardins anglo bizantini fine ’800, cari a D’Annunzio e sodali, nell’iconografia minimalista ma rabbrividente di tanto Pascoli, magari riciclato da Rosso di San Secondo e da Bontempelli.
(Puppa 1992: 310-¬‐ 311)
Articolo pubblicato originariamente come:
TRIFIRO', Katia. Un caso di riscrittura scenica. Dino Buzzati dal racconto al dramma. Between , [S.l.], v. 2, n. 4, dec. 2012. ISSN 2039-6597. Disponibile all'indirizzo: <http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/687 >. Data di accesso: 17 dec. 2016 doi:http://dx.doi.org/10.13125/2039-6597/687 e ripubblicato secondo licenza CC-BY (versione non specificata).
Immagine di thumbnail dell'utente flikr Andreas Pliatsikas e pubblicata secondo licenza CC-BY-NC-ND 2.0 .