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Marco Malvaldi - Milioni di milioni

    – …Pensate a quella povera bestia. Un attimo prima è lì, tutta beata, che si fida, e un secondo dopo…
    Il sindaco si risentì visibilmente.
    – Signorina, per chi ci prende?
    Voltatosi verso Margherita, il primo paesano cominciò:
    – Guardi che il giorno dell’uccisione del maiale è una mezza tragedia greca. Ha presente il rituale che c’è dietro?
    No, disse la faccia di Margherita, e preferirei restare nell’ignoranza. Ma il sindaco fece finta di non accorgersene.
    – Lo sa che per uccidere un maiale si mette su una procedura che coinvolge tutta la famiglia?
    – Eh, ci credo – disse Margherita, ormai inviluppata nel discorso. – Mica sarà facile prendere e trascinare una bestia del genere.
    Il sindaco sorrise.
    – Lei è fuori strada, signorina. Per uccidere un animale talmente grasso da non potersi quasi reggere in piedi, in teoria, basterebbe un uomo da solo.
    Margherita guardò il sindaco incredula. Piergiorgio, memore di quanto aveva visto nel pomeriggio, assentì di riflesso mentre il sindaco continuava:
    – Il macellaio si avvicina, lo stordisce con il dorso della scure, lo prende per le zampe posteriori, lo aggancia e via, siamo pronti. Una volta appeso, si taglia e si dissangua. Rapido, sicuro, pulito. Allora, perché tutta la famiglia partecipa all’uccisione del maiale, bambini compresi, secondo lei?
    Margherita, senza dire una parola, fece un piccolo no con la testa.
    – Perché il maiale è un membro della famiglia, signorina. I bambini lo conoscono, lo hanno visto nascere e ci hanno giocato. Il padrone di casa lo ha allevato e visto crescere. Tutte le persone di casa lo hanno visto crescere. Una persona, da sola, non avrebbe mai il coraggio di uccidere il maiale. (pp. 28-29)

In questo libro avviene un delitto. Questo è scontato, visto che si tratta di un giallo. Quello che è meno scontato è che il delitto avvenga mentre Margherita e Piergiorgio, filologa romanza e medico genetista, sono al lavoro come ricercatori nello sperduto e montano paesino di Montesodi Marittimo, alla ricerca della fonte della straordinaria prestanza fisica dei suoi cittadini. Un branco di popolani entusiasti del derby, un sindaco autorevole e cacciatore, i nostri due esterni con la puzza sotto il naso, il vecchio e tremulo sacerdote e il fustacchione etiope suo futuro rimpiazzo si troveranno invischiati nella ricerca del colpevole, teoricamente sotto la responsabilità del valoroso maresciallo Alvise, ma vissuta e condotta dal punto di vista di Piergiorgio.

Il giallo c’è e riesce. Non ne dico nulla, per parecchi motivi; vale la pena di leggere il libro, che è breve e divertente. In ogni caso, non leggete il risvolto di copertina prima del libro, ve ne brucereste la metà.

Quali sono gli elementi principali? Il primo è indubbiamente la distinzione fra dentro fuori. C’è chi è dentro: chi è nato nel paese; c’è chi è fuori: chi nel paese ci è arrivato, per dovere, vocazione, amore o altre cause, e che bene o male ci si è ambientato. Ma c’è anche chi forse se ne dovrà andare e chi non vuole restarci. Ci sono i nostri due ricercatori, pesci fuor d’acqua, per quanto svegli, capaci e intelligenti, sconvolti da una realtà paesana in cui la gente va addirittura a dire il rosario. E infine c’è la neve, che restringe gli spazi d’azione e esaspera questa condizione di convivenza forzata.

E qui vale la pena di dire che Malvaldi non si fa troppi problemi a sbattere i personaggi sul tavolo del romanzo come pesce sul banco: come cascano cascano, non ci sono santi o uomini perfetti in questo paesino, ed è questo che crea le situazioni del racconto. Ognuno ha le proprie idiosincrasie, ognuno fa le proprie figure di merda. I due giovincelli, pur essendo verosimilmente le menti più luminose fra i residenti, non sono certo rappresentati come membri di una civiltà superiore: in loro c’è anche un intento parodistico, una carattere vagamente cinico e meschino, specialmente in Piergiorgio, che, al di là dell’efficienza medica, si mostra piuttosto bietolone al confronto con l’acidula sputasentenze Margherita. Anche il lettore deve lasciarsi prendere un po’ per il naso: a volte sembra quasi che Malvaldi stia per dirlo: …notò un dettaglio… no, è inutile, non te lo dico che cosa ha visto, prima ti leggi altre cinquanta pagine, tiè.

Passando alla tecnica, una grande capacità di Malvaldi è quella di rappresentare lo svelamento graduale del paese agli occhi di Piergiorgio. Inizialmente, si direbbe che il nostro eroe sia capitombolato in uno studio leonardesco di volti grotteschi. La realtà mostrata sulla via in auto è stramba, surreale, i primi personaggi hanno un che di vagamente bestiale, di apparizione di creature fantastiche dal meraviglioso fiabistico. Quelli incontrati subito dopo l’ingresso in paese, presentati attraverso il velo della loro passione, del loro lavoro, dei loro fantastici fraintendimenti degli esotici concetti cittadini enunciati dai ricercatori, avranno bisogno di tempo per emergere nella loro completa umanità, che comunque è una umanità boccaccesca e che non disdegna il buffo e l’incidente, oltre che il danno altrui. Il piccolo mondo del paese viene dunque inzialmente delineato in un largo e sommario ritratto degli abitanti, che poi, quando l’azione vede restringersi il proprio campo, complice la neve, si concentra e amplifica su di un numero limitato di personaggi. Ed è a questo punto che, per dirla come il sindaco, il lettore ha la possibilità di vedere, al posto della gente di paese, le persone.

Tuttavia, le capacità di Malvaldi non risultano solo da questo processo di zoom sulle personalità degli indagati. La scelta lessicale non è mai casuale. Un esempio è, nel brano citato, il «primo paesano» al posto di primo cittadino. Si tratta di agire sui dettagli: slittamenti di significato attraverso la sostituzione di parole con termini semanticamente vicini ma non del tutto sovrapponibili, secondo un metodo tipico del genere parodistico. Queste sostituzioni generano una costante sorpresa e rendono molto più interessante la lettura. In gran numero, rappresentano un elemento ragguardevole e positivo, distintivo dello stile vivace di Malvaldi.

Un altro segno di stile è la tensione di fili che uniscono l’incipit alla parte propriamente gialla del romanzo: fra di questi lo studio dei due ricercatori, provenienti da due discipline abbastanza diverse da nutrire dubbi sulla loro vicendevole utilità, la passione per la caccia del sindaco, ma soprattutto la trovata della stupefacente sagra di paese, che, fra tutti i suoi caratteri, non si sa neanche se da qualche parte non ci sia davvero una cosa così.

Versione recensita:

MARCO MALVALDI, Milioni di milioni. Sellerio editore, Palermo 2012. (prima edizione). 208 pagine, € 13,-.

Valutazione:

Da leggere. Divertente e appassionante, il frutto di un autore già affermato ma ancora in crescita. Consigliato fortemente.

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