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Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta

Leonardo Sciascia commenta un passo di Flaubert da lui riportato ne La Sicilia nel cinema.

Leonardo Sciascia commenta un passo di Flaubert da lui riportato ne La Sicilia nel cinema.

‘Questo è il punto’ pensò il capitano ‘su cui bisognerebbe far leva. È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre. Ed è inutile, oltre che pericoloso, vagheggiare una sospensione di diritti costituzionali. Un nuovo Mori diventerebbe subito strumento politico-elettoralistico; braccio non del regime, ma di una fazione del regime: la fazione Mancuso-Livigni o la fazione Sciortino-Caruso. Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Soltanto così a uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi… In ogni altro paese del mondo, una evasione fiscale come quella che sto constatando sarebbe duramente punita: qui don Mariano se ne ride, sa che non gli vorrà molto ad imbrogliare le carte’. (pp. 107-108)

Leggendo questa pagina e mezza, è difficile non rappresentarsi un confronto fra la realtà descritta nei pensieri del capitano Bellodi, carabiniere e ‘continentale’ inviato a comandare in Sicilia e quella che viviamo oggi e non vedervi le radici di quel tracollo che tanto temiamo e in cui forse già stiamo annaspando. Manovre dipendenti solo dal buonsenso e dall’applicazione di leggi che già esistono: questo è il sogno del capitano. Ma Sciascia presenta un mondo all’incontrario che vive in Sicilia, dove tutte le istituzioni perdono il proprio valore, assorbite nell’ambito della famiglia e sostituite da quello, innominabile, della mafia. Nel breve romanzo, o nel lungo racconto – Sciascia vi si riferisce proprio come racconto – la parola omertà non ricorre mai. Eppure, essa è lì, ovunque, fin dalle prime pagine, in cui i carabinieri cercano di disperdere la folla dei curiosi intorno a un ucciso a colpi di lupara e di raccogliere invece i testimoni: ma i testimoni se la sono già squagliata.

La mafia, in questo racconto, non è una realtà solo siciliana. Certo, la Sicilia è il mondo all’incontrario, una realtà pirandelliana, dove la mafia nasce, vive e regna attraverso uomini incensurati e degni di ogni rispetto; è una casa degli specchi, dove, come Vitangelo Moscarda si era visto nello specchio solo grazie alle parole di sua moglie, così Bellodi si trova a confrontarsi con uno specchio vivente, un cane cattivo e ringhioso, ‘un bel bastardo’, tenuto alla catena, che ha ricevuto il proprio nome dai bargelli che, attraverso il torto, amministravano la giustizia, e che al tempo stesso è un memoriale dell’inquisizione (del cui malefico influsso sullo sviluppo del pensiero razionale in Sicilia Sciascia parlerà ancora ne La scomparsa di Majorana). Ma la realtà mafiosa finisce per tramutarsi in una freccia che perfora l’intero tessuto della società italiana, rappresentata dalle varie eccellenze, anelli di una catena, scodinzolanti di fronte al superiore, ma fredde di esigenza con gli inferiori, che si conclude all’altezza del ministro. A questa catena umana viene aggiunto il dubbio che il sole stesso, alzando la linea della palma, finisca per tramutare l’intera Italia nella Sicilia mafiosa; una idea che oggi, con la 'Ndrangheta a Milano e in Liguria, potrebbe apparire profetica, ma che in realtà era semplicemente realista.

Quello che l’arte di Sciascia lascia emergere è una realtà sconsolante (‘qui Dio ha gettato la spugna’) e l’azione di un uomo che le contrappone la propria realtà di partigiano, avviluppato fra intrighi silenziosi e un gioco di marionette in cui sinistra e fascisti, entrambi nemici della mafia, finiscono per accapigliarsi a vicenda, mentre la mafia verrà dichiarata una realtà inesistente e frutto di pregiudizio: l’avvio della rissa in Parlamento è l’ultima pennellata per descrivere il mondo all’incontrario che si muove nella notte attraverso braccia e telefoni e che, nella notte, tutto sa ingoiare; un mondo che, gonfiato a dismisura (come si può pensare ad un’organizzazione tanto potente da governare Sicilia e Stati Uniti?), invece che per scoppiare, finisce per diventare invisibile.

Alla Sicilia, a Roma e a Parma, ai loro diversi climi e ai loro cieli, Sciascia dedica volentieri le proprie parole. Il chiarchiaro della sconfitta di Dio, la neve di Parma, la società romana proiettano la dimensione italiana di questo racconto. Riguardo alla composizione dell’opera, ha del fenomenale l’appunto tragicomico lasciato da Sciascia proprio sull’Italia: per un anno l’Autore si occupò di ‘cavare’ il materiale in eccesso – ma non tanto in ossequio alla norma della sintesi, ad ogni modo raggiunta in maniera perfetta, al punto che non vi è nulla in questo libro che non sia necessario, bensì per evitare di finire per assimilare i suoi personaggi a figure che potevano essere più o meno istituzionali, ma comunque, nel particolarissimo panorama italiano, sacre ed inviolabili alla penna dello scrittore. Un ultimo tocco, che riporta il mondo all’incontrario non più alla sola e assolata Sicilia, ma a tutto il paese dei pensieri di Bellodi.

Versione recensita:

LEONARDO SCIASCIA, Il giorno della civetta. Adelphi edizioni, Milano 2012. 142 pagine, € 8,-.

Edito per la prima volta da Einaudi nel 1961.

Valutazione: 

Un'opera magistrale e da leggere.

Le polemiche, le rotture e le riconciliazioni con il partito comunista, i grandi romanzi che analizzarono a fondo la mafia e gli attacchi ai "professionisti dell'antimafia" e le discussioni che ancora oggi suscita quell'articolo dopo trent'anni, l'"affaire Moro": Il tragitto politico ed esistenziale del grande scrittore Leonardo Sciascia osservato da vicino da un illustre compagno di strada in "Leonardo Sciascia e i comunisti".