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Recensire un libro come «performance»

di kip jones

 

Si alza il sipario

Come un membro del pubblico a teatro, seduto al buio, l’incredulità sospesa e pieno di impazienza, attendo l’arrivo delle recensioni di libri per FQS, per editarle e rivederle. A causa del mio interesse nelle possibilità di una ricerca qualitativa come «performance», quello che mi aspetto è, in definitiva, di essere interessato e «intrattenuto» (assorbito, come un membro del pubblico) da tutti gli aspetti di un tentativo qualitativo, incluse le recensioni dei libri. Mi riporto alla mente che Law e Urry (2004, p. 400) si battono in nome di «una scienza sociale fluida e decentrata, per conoscere il mondo allegoricamente indirettamente, forse pittoricamente, sensualmente, poeticamente…» e che Denzin (2001, p.43) cerca «una scienza sociale interpretativa, che è simultaneamente autoetnografica, vulnerabile, legata alla performance e critica.» Mi unisco a questo coro di liberazione.

Immagine di Rosmarie Voegtli (Flickr), distribuita secondo licenza CC BY 2.0

Mentre si aprono nuove possibilità per il recupero di informazioni, sta avendo luogo lo spostamento delle esplorazioni della base di conoscenza da una considerazione monologica a una più dialogica. Il sapere non è più una collezione di risorse organizzate secondo uno schema classificatorio. Occupiamo «un mondo che si pone in atto per produrre flussi imprevedibili e non lineari, e soggettività più mobili.» (Law & Hurry 2004, p. 399). La recensione di un libro è, o, almeno, dovrebbe essere, dialogica. L’autore di un libro parla al proprio pubblico (in questo caso, i recensori); il recensore del libro parla a noi, ai propri lettori. Questo è un circolo, una conversazione sussurrata lungo un sentiero, una catena di condivisione. Il costruzionismo sociale, come descritto da Kenneth Gergen (1985), afferma che la conoscenza, scientifica o altrimenti, non è ottenuta attraverso mezzi oggettivi, ma è costruita mediante il discorrere sociale. Nessun punto di vista è più valido di un altro, perché tutti i punti di vista sono incastonati in un contesto sociale che dà loro significato. «Una visione del genere non oblitera la scienza empirica; semplicemente, rimuove il suo privilegio di reclamare una verità al di là della comunità.» (Gergen 1997, s.p.)

Qual è l’essenza della ricerca qualitativa?

Ogni volta che leggo una nuova recensione, mi ricorda l’essenza della ricerca qualitative. Nella ricerca qualitativa, la tirannide dei numeri viene abbandonata per l’enigma delle parole. Esso viene spesso visto come radicato in un dominio intangibile, fondamentalmente esperienziale ed intuitivo. Il lavoro qualitativo è in flusso costante e dinamico, ma in moto verso un qualche punto finale in modo evolutivo. Ci sono sforzi da parte della mente di concretizzare il significato, e la dimensione qualitativa ha una funzione integrativa per il ricercatore. L’unità procura contesto e significato, ed è a una tale unità che il ricercatore punta. Gli sforzi qualitativi mettono all’opera quella parte della persona concentrata su significato, verità, scopo o realtà – l’importanza fondamentale delle cose. Non semplici esercizi di verità o falsità, comunque, queste indagini sono tentativi polivocali di interfacciarsi con resoconti culturali/relazionali/linguistici del reale. Sono, dunque, interpretazioni e non verità nel senso positivistico. Il potenziale dell’intuizione è, in definitiva, un grande vantaggio proprio per questo processo.

Una delle virtù della ricerca qualitativa è la sua natura inclusiva e l’abilità di dare una voce ai partecipanti alla ricerca, sia attraverso il processo stesso di ricerca (per esempio, attraverso un ampio raggio di pratiche qualitative delle scienze sociali che includano ricerca attiva e partecipativa, colloqui in profondità, studi etnografici, antropologia visiva, studi sulla narrativa biografica, e così via) e in rapporti, documenti e presentazioni (e, in questi giorni, queste si stanno allargando a includere dramma, danza, poesia, arte, metafora, forme di scrittura evocativa, internet e altri nuovi medium, film, fotografie eccetera). L’importanza della ricerca partecipativa e dei nuovi metodi di disseminazione non può essere esagerata, particolarmente quando si tratta di voci svantaggiate o inascoltate. Le loro storie (e, in effetti, le nostre) sono centrali per le ricerche qualitative di un’epoca postmoderna. Adottare un metodo d’inchiesta narrativo (ascoltare storie raccontate e rispondervi), piuttosto che empirico, consente agli investigatori di portarsi in diversi modi più vicini ai fenomeni studiati: primo, la narrativa garantisce l’accesso allo specifico, invece che all’astratto; secondariamente, le narrative consentono all’esperienza di svolgersi in modo temporale; in terzo luogo, vengono incoraggiati il linguaggio di tutti i giorni e le sue sfumature; infine, la narrativa permette che le dinamiche si rivelino nelle azioni e relazioni presentate.

Sapere emergente

L’educatore francese Pierre Lévy (1997) crede che stiano avvenendo cambiamenti profondi nel modo in cui acquisiamo il sapere e sostiene l’intelligenza collettiva potenziale di gruppi umani attraverso spazi emergenti di sapere che sono continui, in evoluzione e non lineari. Lévy (2003) constata che, dalla fine del XIX secolo, il cinema ci ha dato un medium cinetico per la rappresentazione. In effetti, «pensiamo manipolando modelli mentali che, la gran parte del tempo, prendono forma d’immagini. Questo non significa che le immagini ricordino la realtà visibile, sono più simili a una mappatura dinamica.» (Lévy 2003, p. 4). In questo mondo cinetico, «le scienze sociali hanno bisogno di reimmaginare se stesse, il proprio metodo, e, in effetti, i propri “mondi”, se vogliono lavorare in modo produttivo nel XXI secolo.» (Law & Urry 2004, p. 390).

La crescita esponenziale di internet presenta delle sfide alle fondamenta metodologicofilosofiche della conoscenza. La scienza consiste di molte attività generanti conoscenza, ognuna con le sue forze e le sue debolezze (Hoshmand & Polkinghorne 1992). La filosofia della scienza di Martin Heidegger riconobbe la scienza come pratica culturale; egli vedeva le scienze umane come una doppia ermeneutica – come interpretazioni di interpretazioni. È la natura degli esseri umani, naturalmente inquisitiva, a cercare una conoscenza che ci costringe a trovare da noi le nostre risposte e, nel farlo, ironicamente, a entrare nel dialogico. Così, la conoscenza si forma contestualmente e dialogicamente. Il sapere è un costrutto negoziato e discorsivo, che si crea fra persone.

L’autore/recensore/lettore come compagni

Quando prendiamo in esame libri e recensioni di libri, troviamo che molto si rivela nello stile e nella trama:

«Alphonso Lingus, discutendo “l’esposizione tramite presentazione”, dice “che entrare in conversazione con un altro è … spalancare le porte delle proprie posizione; esporsi all’altro, all’estraneo; e aprirsi a sorprese, contestazione e incolpazione…” Se seguiamo l’argomento di Lingus, è attraverso la nostra sorpresa e messa in dubbio dello stile preso dagli autori, che troviamo la persona mancante nel racconto» (Rapport, 2004, p. 40)

La questione dello stato di persona è centrale per la scuola filosofica della fenomenologia, che è più interessata nella persona che scrive che non nell’atto di scrivere in se stesso. Nelle parole di Merleau-Ponty (citato in Rapport 2004, p. 41): «La percezione non è una scienza del mondo… è lo sfondo su cui tutti gli atti risaltano, ed è da essi presupposto.»

Così le nostre considerazioni, attraverso la percezione impersonata, ci incoraggiano a camminare intorno agli orli della recensione e del recensito, per vedere oltre la fattualità fino all’umanesimo nascosto sull’altro lato. Estendendo il nostro sguardo oltre all’usuale, a nuove tecnologie e maniere di presentare, come il web publishing, apriamo nuove porte a comprensioni e risorse. È attraverso le rappresentazioni creative della «storia raccontata» che i recensori di libri formano la propria, individuale Gestalt o visione del mondo, intessuta dei fatti e dei resoconti di quanto hanno da dire riguardo al «chi, cosa, quando, dove» dello scritto sotto recensione. Le presentazioni interpretative di questa «storia narrata», o ordinamento tematico della narrazione, coinvolge la costruzione del sistema di conoscenza del recensore, le loro interpretazioni dalle loro vite e le loro classificazioni di esperienze – il «residuo irriducibile» della ricerca del sapere di Mannheim (1936). Questo sistema di sapere personale è spesso reso più facilmente accessibile in saggi di recensione. È anche ugualmente rappresentato in recensioni più standardizzate, seppur più sottilmente. È in queste ultime che quanto è lasciato taciuto è spesso tanto potente, quanto ciò che è detto.

Karl Mannheim.

Sandelowski e Barosso (2002, p. 1), in effetti, discutono a favore di una «reconcettualizzazione del rapporto di ricerca [e, dunque, della recensione del rapporto di ricerca] come veicolo dinamico che media fra ricercatore/scrittore e recensore/lettore, piuttosto che come un resoconto limitato ai fatti e seguente ad essi.» Un approccio del genere resiste alla predominanza dell’autore o del recensore, riconoscendo che un’opera è incompleta, se priva delle risposte dei lettori. È attraverso un atteggiamento così espansivo ed inclusivo, in contrasto con gli approcci più ristretti alle recensioni, che si aprono le possibilità di attraversare (o almeno di ignorare) frontiere conservative o tradizionali e di iniziare a scrivere recensioni di libri «come performance».

Quale «critica» - Dialogo o dibattito?

«Nel dialogo, i partecipanti parlano come singoli individui riguardo alle proprie convinzioni ed esperienze, rivelano le loro incertezze quanto le certezze, e cercano di capirsi l’un l’altro.» (Becker, Chasin, Chasin, Herzig & Roth, 2003, p. 184). Becker et al. distinguono il dialogo dal dibattito. Spiegano che, nel dialogo, i partecipanti sono incoraggiati a mettere in dubbio il discorso dominante, esplorano opzioni per definire e risolvere i problemi e scoprono inadeguatezze nel linguaggio e nei concetti usati. Nel dibattito, tuttavia, l’atmosfera è minacciosa, gli attacchi sono consentiti, pervade il rifiuto dei dati altrui e il mettere in mostra le mancanze logiche, le constatazioni sono prevedibili e offrono poche nuove informazioni, e il successo spesso richiede asserzioni semplici e spassionate.

Incoraggerei i recensori a prendere l’approccio di un dialogo con l’autore in considerazione, così come con i loro lettori, e di allontanarsi dal tono da dibattito, polemico, corrosivo e accusatorio che spesso permea le recensioni che si battono per «giudizi critici indipendenti». Gran parte di questa critica prende troppo spesso una linea di attacco sprezzante, che potrebbe essere evitata senza alterare i concetti o allentare la propria tecnica, prendendo una posizione più comunicativa – da parte del recensore, con l’opera dell’autore e, in definitiva, con il lettore. In effetti, un atteggiamento dialogico nel costruire un’argomentazione servirebbe a evidenziare più chiaramente l’integrità dello stile di scrittura creativa del recensore, così come del suo pensiero. In fin dei conti, il recensore «recita la parte» di un «performer» interpretativo fra il «copione» (l’opera sotto recensione) e il «pubblico» (il lettore).

Recensire un libro è, per molti, il primo passo verso l’unione a una comunità di studiosi (come esempio, si veda la mia prima prova di recensione in FQS, Jones 2000). Spesso, in qualcuno di questi primi tentativi di «critica» neofita, il lettore si trova su di un campo di battaglia, nell’infuriare della guerra. Una posizione aggressiva verso l’autore di un libro, tuttavia, combina poco nell’ottenere lo scopo che ci si è prefissi. Un tono polemico spesso rende difficile per il lettore arrivare ad un consenso con il recensore, quando è in uso uno stile di attacco-presentazione implacabile e dogmatico. Sarebbe meglio sentire che il recensore sta invitando il lettore a un viaggio, cercando di attirarlo stabilendo un terreno comune ed esplorando insieme il libro. Quando il recensore smette di discutere e comincia a scrivere, si crea, per lui, la possibilità di mostrare il più delle proprie integrità ed immaginazione. In questi sforzi, i recensori divengono disponibili a rivelare le proprie vulnerabilità e, dunque, entrano in dialogo con i lettori su di un piano personale. Riconoscendo di più le proprie incertezze come le proprie certezze, il recensore ha più possibilità di raggiungere gli altri al livello della comprensione vicendevole e delle esperienze condivise.

Conclusioni

Ciò che deve essere riconosciuto e ammesso è che, oltre al mero testo della recensione di un libro, risiede la promessa della rivelazione personale, un’intimità che è condivisa dal recensore con il lettore. Indietreggiare da questa mutua comprensione nega il potenziale dell’esperienza catartica, da pubblico, e l’opzione di una conoscenza veramente riflessiva di altri esseri attraverso la scrittura. Nell’ambito dell’interazione del lettore/spettatore con la recensione, si presenta un’opportunità di comunicazione significativa attraverso immagini evocate in una specie di dialogo teatrale, magico. L’enfasi è sulle risorse culturali e sociali condivise, o l’«habitus – la nostra seconda natura, la massa di convenzioni, convinzioni e atteggiamenti che ogni membro di una società condivide con ogni altro membro» (Scheff 1997, p. 219). È in questi momenti di realtà collettiva ed estesa che ci connettiamo a cosa vuol dire essere umani e, quindi, raggiungiamo un piano più elevato di comprensione reciproca e uno sfocarsi delle differenze individuali. In definitiva, le recensioni di libri contribuiscono allo sviluppo di significati condivisi e apprezzamento reciproco – gli inizi di un dialogo, non un punto finale.

 

Riferimenti

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SCHEFF, THOMAS J. (1997). Emotions, the Social Bond, and Human Reality Part/Whole Analysis. Cambridge: Cambridge University Press.

L’autore

Kip Jones (BA MSc PhD) è Lettore in Scienze sociali in riferimento alla salute al Bournemouth University's Centre for Qualitative Research nel Regno Unito e Associate Book Reviewer per FQS; inoltre facilita il newsgroup online Performative Social Science.

Questo articolo è la traduzione di una nota editoriale apparsa originariamente in inglese su FQS:

Jones, Kip (2006). Editorial Note: The Book Review as "Performance" [14 paragraphs]. Forum
Qualitative Sozialforschung / Forum: Qualitative Social Research, 7(2), Art. 27,
http://nbnresolving.de/urn:nbn:de:0114-fqs0602270

e distribuito secondo licenza CC BY 4.0

A esso è stato aggiunto l'apparato iconografico, mentre sono stati rimossi abstract, indice e numerazione dei paragrafi.