recensione

Michail Bulgakov - La guardia bianca

L’edizione Fermento de La guardia bianca di Bulgakov lascia basiti. Misteriosamente, l’ordine dei capitoli finali è: 19, 20, 19, 21. Nessuna spiegazione viene data per questo fatto. In realtà, è abbastanza evidente, continuando a leggere, che il secondo capitolo 19 è una versione diversa del primo capitolo 19. Anche il capitolo 21 è una versione differente di fatti già narrati.

Che cosa è successo?

Due fatti. Il primo è la vita di Bulgakov, che aveva già ventisei anni quando scoppiò la rivoluzione d’Ottobre. A quel punto, era semplicemente troppo vecchio per convertirsi sinceramente al bolscevismo. Era in realtà una situazione comune, nel mondo culturale russo dei primi anni ‘20: dove a livello politico ci si inchinava al potere rosso e proletario, nel dibattito letterario la maggioranza considerava ancora degna di essere salvata la cultura nata dal mondo borghese.

E in questi anni si colloca la scrittura de La guardia bianca. Bulgakov, fino ad allora uno scrittore di racconti comici, mosso dalla morte della madre nel 1922, vuole scrivere il suo primo grande romanzo. Anzi, decide di scrivere una trilogia, di cui La guardia bianca sarebbe stata la prima parte.

Simon Petljura. La violenza che accompagnò le sue azioni militari rende ancora difficoltoso l’ingresso di questo nazionalista nel Pantheon dei fondatori dell’Ucraina moderna.

Simon Petljura. La violenza che accompagnò le sue azioni militari rende ancora difficoltoso l’ingresso di questo nazionalista nel Pantheon dei fondatori dell’Ucraina moderna.

La guardia bianca racconta le vicende di Aleksej, Nikolka ed Elena, i tre fratelli Turbin, a Kiev, nell’inverno 1918-19, durante la guerra civile russa. Con la pace di Brest-Litovsk (marzo 1918), l’Ucraina è divenuta indipendente dalla Russia, ed è ora sotto la protezione tedesca nell’ambito della prima guerra mondiale. Nel novembre 1918, la Germania si dichiara però sconfitta e ritira i suoi soldati. A questo punto, tre forze competono per il possesso di Kiev: l’Etmanato, cioè una dittatura militare appoggiata dalla borghesia; i nazionalisti ucraini, guidati da Petljura, formati da gente delle campagne; e i bolscevichi.

Quando il romanzo inizia, Kiev è sotto il controllo dell’Etmanato, ma l’etmano è già fuggito. I bolscevichi sono lontani all’orizzonte. Petljura sta per assalire la città, accompagnato da pogrom, tortura e omicidi.

Skoropadskij, l’Etmano d’Ucraina.

Skoropadskij, l’Etmano d’Ucraina.

I Turbin si uniscono alle truppe di difesa della città. Ma non sono solo soldati. Sono membri di una classe, l’intelligentsia conservatrice, che è una piccola minoranza numerica, ma che è stata una grande forza culturale. Il romanzo contiene una retrospettiva sentimentale verso la vita borghese, e quella che era stata anche la giovinezza di Bulgakov: le tante citazioni dall’opera e dal teatro, le voci definite a seconda del registro canoro (tenore, baritono…), i libri su cui i Turbin si sono formati fin da piccoli, le scuole dove hanno studiato, il vecchio bidello, che nella scuola ancora vive…

Ma non è solo l’intelligentsia a essere una minoranza. Kiev stessa è, in Ucraina, un’isola. La metà dei suoi abitanti sono, all’epoca dei fatti, russi. Gli altri erano, in numero discendente, ebrei, ucraini e polacchi. La guardia bianca è romanzo di Kiev, della prima capitale del mondo russo, una città universale che non è mai chiamata per nome. Kiev qui è semplicemente la Città, in bilico fra un evento storico e la sua natura millenaria, santa e letteraria, i cui assalitori, come ai tempi dei Mongoli, sono partoriti dalla steppa.

Ecco dunque la cattedrale di Santa Sofia, la Porta d’Oro (entrambe omonime dei monumenti della Costantinopoli imperiale ed ortodossa), la grande statua del santo principe Vladimir, la cui croce brilla nella notte di luce elettrica e si mescola con le stelle. Ma c’è anche il contrasto fra questa culla russa e il mondo che la circonda. Kiev non capisce e non conosce l’Ucraina intorno a sé, un’ignoranza esacerbata dalla mancanza di informazioni dovuta alla guerra.

Il monumento a San Vladimir prima della rivoluzione.

Il monumento a San Vladimir prima della rivoluzione.

L’uso dell’ucraino diventa una questione politica, imparare l’ucraino è una questione di sopravvivenza, non impararlo è una questione d’onore, ma l’ucraino di Kiev non è una lingua codificata e, in una città che parla russo, sembra anzi povera e incoerente. I Turbin non “credono” nell’ucraino come lingua, così come non credono in un’alternativa locale alla cultura russa. Per questo, rispetto ai nazionalisti ucraini di Petljura, vedono con minor sfavore i bolscevichi, che pur odiano, ma che almeno vengono da Mosca e sono indubbiamente russi. Ai lettori non doveva sfuggire l’ironia: sarebbe stato il governo bolscevico a ordinare l’ucrainizzazione di Kiev.

Bulgakov stesso era nato a Kiev; il suo padrino N.I. Petrov era uno studioso della cultura ucraina. Ci sono diverse opinioni sulla conoscenza che Bulgakov aveva o non aveva dell’ucraino, parlato o letterario. Certo, l’avversione verso l’ucraino nel romanzo è il risultato del suo uso in senso politico e nazionalista, ma Bulgakov nel ’23 era stato l’autore di un articolo, “La città di Kiev”, in cui definiva incomprensibili le insegne in ucraino. È probabile che alla base di questa antipatia ci fosse non tanto l’ucraino in sé, ma la cancellazione del passato e dell’uso del russo dove, fino a pochi anni prima, era la norma.

Quando espresse queste considerazioni, Bulgakov stava già lavorando al romanzo. Le prime due parti de La guardia bianca furono pubblicate nel 1925, sulla rivista «Rossija». Bulgakov inviò anche il finale, ma la rivista chiuse prima che il numero su cui doveva apparire andasse in stampa. (Fra parentesi, il finale non pubblicato, riemerso a tratti durante gli anni ’80, è il secondo nell’edizione Fermento. Il fatto che al capitolo 19 segua il 21 è dovuto a un errore nel manoscritto).

Che cosa era successo? Il panorama culturale non era più quello dei primi anni ‘20. La cultura borghese era stata attaccata a più riprese e infine sconfitta ed esiliata da diversi nuovi movimenti, fra cui i futuristi. Non c’era più spazio per La guardia bianca.

La guardia bianca non era però destinata all’oblio. Prima della chiusura di «Rossija», V.I. Veršilov, un dirigente del Teatro d’Arte di Mosca, aveva invitato Bulgakov a produrne una riduzione teatrale. Questa versione, scritta sul modello di Čechov e intitolata I giorni dei Turbin, ebbe grandissimo successo. Vista la fine che aveva fatto il romanzo, può stupire; la spiegazione più semplice è che l’opera di Bulgakov fosse di qualità molto superiore rispetto alla produzione contemporanea del teatro sovietico. Un grandissimo estimatore fu Stalin stesso, che la vide intorno alle quindici volte (e che spiegava il suo piacere dicendo che i boscevichi rappresentavano, nella vicenda, una forza positiva). Questo fatto salvò forse la vita di Bulgakov durante il terrore staliniano degli anni ’30; o è possibile che Bulgakov fosse, dopo il suicidio di Majakovskij, il solo autore sovietico di fama internazionale superstite, per cui si decise di salvarlo.

Direzione di Konstantin Stanislavskij, scenografia di Nikolaj Uljanov: I giorni dei Turbin al Teatro d’Arte di Mosca, 1926. Diverse scene di movimento e di folla ne La guardia bianca riflettono l’interesse di Bulgakov verso il teatro.

Direzione di Konstantin Stanislavskij, scenografia di Nikolaj Uljanov: I giorni dei Turbin al Teatro d’Arte di Mosca, 1926. Diverse scene di movimento e di folla ne La guardia bianca riflettono l’interesse di Bulgakov verso il teatro.

Quando arrivarono i successi a teatro, il finale de La guardia bianca non era ancora stato pubblicato. Un’edizione pirata uscita a Riga nel ’27 ne creò uno, parafrasando quello de I giorni dei Turbin, il che dovette risolversi in un inventivo pasticcio, visto che, nell’opera teatrale, diversi personaggi del libro erano stati accorpati in Aleksej.

Bulgakov non riuscì mai a riavere dal redattore di «Rossija» il manoscritto con il finale. Al contrario, questi ne usò i fogli per incollarvi articoli di giornale (!). Invece, Bulgakov pubblicò a Parigi il romanzo completo nel 1929, rimaneggiando i capitoli conclusivi. A questo punto, aveva accantonato l’idea di una trilogia, così cercò di creare un finale anche concludere le varie trame che, idealmente, sarebbero state sviluppate nei volumi successivi. Questo è il primo finale nell’edizione Fermento.

La guardia bianca non è un’opera semplice. Ognuno dei molti personaggi ha la propria visione degli eventi in corso, il che mostra i diversi gradi di ambivalenza dell’intelligentsia di Kiev. Proprio a causa del loro numero e della provenienza da un milieu simile, però, non è facile memorizzarli e distinguerli.

Un altro elemento di complessità, accennato parlando di Kiev, città storica e universale, è che il romanzo punta a rappresentare l’azione su due piani: quello dell’evento storico, particolare, e del suo valore universale ed eterno.

Questo duplice scopo è particolarmente evidente in tre elementi. Il primo sono le due epigrafi iniziali. Una è tratta da La figlia del capitano, dove viene narrata una rivoluzione storica: in essa, la tempesta di neve è un simbolo, ricorrente nella letteratura russa, di perturbazioni politiche. L’altra epigrafe viene invece dall’Apocalisse e introduce il tema del Giudizio Universale, e, implicitamente, la questione di come giudicare i membri delle varie parti in lotta, e chi è nel giusto e chi no.

Il secondo elemento è la rappresentazione delle stelle, che racchiude come un anello l’intero romanzo. Se da un lato le stelle sono eterne e brillano per tutti, e l’opposizione Venere-Marte è chiarissima e ha anzi un ruolo esplicativo dei temi del romanzo, dall’altro esiste un collegamento al Somnium Scipionis di Cicerone, dove il firmamento è la residenza di chi ha vissuto in modo meritevole.

Il terzo elemento è lo strumento frequentissimo del sogno. Il sogno consente di mostrare che cosa preme ai personaggi nella loro esistenza storica, ma anche di rappresentare le loro tendenze più alte e trascendenti mediante situazioni significative e altrimenti impossibili: ad esempio, una visione celeste in cui viene descritto come Dio giudicherà i combattenti, correntemente occupati a saltarsi alla gola a vicenda. E questo giudizio universale non è come il sognante Aleksej Turbin l’avrebbe atteso.

Tuttavia, questi sogni sono, a volte, per il lettore, difficili da distinguere dagli eventi reali e gli eventi reali sono difficili da distinguere dai sogni (o dagli incubi, a seconda), per cui è abbastanza facile perdere la bussola.

In particolare la difficoltà nel seguire i personaggi e gli eventi, in una moltitudine di salti temporali in avanti e all’indietro, da un uomo all’altro, fra il sogno e lo storico, rappresenta il limite del romanzo, assieme a una certa sensazione di incompiutezza, dovuta forse al fatto che la storia sarebbe dovuta originariamente continuare per due libri ancora. In effetti, Bulgakov stesso nel 1926 non considerava La guardia bianca un successo.

“Concepii e scrissi il romanzo durante le più estreme difficoltà materiali. In questo, il 1922 fu l’anno peggiore […] Concepii il romanzo nel 1922. Lo scrissi nel 1923-24, nel giro di più di un anno, a tratti. […] Non credo di aver avuto successo con il mio romanzo, ma lo trovo speciale fra le mie altre opere, in quanto presi l’idea che gli stava dietro molto seriamente”.

La casa dei Turbin nel romanzo è la casa in cui viveva la famiglia di Bulgakov a Kiev, qui fotografata nel 1978. Opera di Витольд Муратов (Vitol’d Muratov) diffusa secondo licenza CC BY-SA 3.0.

La casa dei Turbin nel romanzo è la casa in cui viveva la famiglia di Bulgakov a Kiev, qui fotografata nel 1978. Opera di Витольд Муратов (Vitol’d Muratov) diffusa secondo licenza CC BY-SA 3.0.

La casa oggi è diventata il Museo Bulgakov. Foto scattata nel 2013 dall’utente Wikimedia Wadko02 e distribuita secondo licenza CC BY-SA 4.0.

La casa oggi è diventata il Museo Bulgakov. Foto scattata nel 2013 dall’utente Wikimedia Wadko02 e distribuita secondo licenza CC BY-SA 4.0.

In effetti, le reazioni del mondo letterario furono diverse, alcune di incitamento, altre molto più critiche. Parecchi si domandarono che cosa significasse quel “Turbin”: letteralmente, “turbine” o “giocattolo”, in realtà il cognome della nonna di Bulgakov. Forse la reazione più interessante è quella del grande critico Viktor Šklovskij. Šklovskij stesso era a Kiev durante gli eventi narrati ne La guardia bianca; in Viaggio sentimentale, narrò di averne sabotato le difese. Bulgakov nel proprio libro rappresenta un intellettuale torbido e vitale compiere esattamente le stesse azioni, con implicita riprovazione. Šklovskij commentò che La guardia bianca era, più che un romanzo, una collezione di citazioni; citazioni classiche, citazioni epiche, e, evidentemente, una citazione dal suo libro. In seguito, rappresentò Bulgakov come un pagliaccio. A proposito di citazioni, La guardia bianca usa occasionalmente la descrizione tramite negazione, uno stilema dei poemi epici medievali dedicati agli eroi russi (“non sono delle cornacchie che fanno gazzarra, sono gli eroi…”).

Un’ultima nota relativa allo stile: Bulgakov viveva in un’epoca in cui era normale che i letterati leggessero ad alta voce le proprie opere nei circoli. Questo portava all’uso delle figure di suono: i passi sono resi in modo onomatopeico e spesso parole dal suono simile, ma dal significato diverso sono associate per rinforzarsi a vicenda. Tutto questo è ovviamente difficile da rendere in traduzione.

Ora, il fatto che Fermento pubblichi un libro del genere senza uno straccio di introduzione o di commento è strano. Che non ci siano note è anche molto strano. Che semplicemente faccia seguire i finali l’uno all’altro senza spiegare quale è quale è assurdo.

Ma forse il fatto più strano strano è che la traduzione di Cesare Bolsoni, pubblicata da Fermento, sia identica a quella di Serena Prina (Feltrinelli).

La traduzione di Serena Prina

La traduzione di Serena Prina

La traduzione di Cesare Bolsoni

La traduzione di Cesare Bolsoni

In effetti, l’edizione Feltrinelli ha un’introduzione ben curata, riporta entrambi i finali spiegando di che cosa si tratti, ed è corredata con delle note adeguate. Sebbene l’edizione Fermento non abbia note, c’è un piccolo tre in apice, estraneo al testo, nel ventesimo capitolo, dove nell’edizione Feltrinelli c’è una nota a pie di pagina.

E qui non occorre fare l’editore nella Riga degli anni Venti per produrre una conclusione.

Bibliografia

Michail Bulgakov, La guardia bianca, traduzione di Cesare Bolsoni, Fermento, 2016

Michail Bulgakov, La guardia bianca, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, 2019 (prima edizione digitale)

Lesley Milne, Mikhail Bulgakov: A Critical Biography, Cambridge University Press, 1990

Maria Popovich, The Days of the Turbins by Mikhail Bulgakov in the Light of the Russian-Ukrainian Literary Discussion, in Lesley Milne (cur.), Bulgakov: The Novelist-Playwright, harwood academic publishers, 1995

Riitta H. Pittman, The Writer's Divided Self In Bulgakov's The Master And Margarita, Palgrave Macmillan, 1991